Bitcoin e tutte le altre criptovalute vanno considerate alla stregua di uno strumento di investimento, perché sono un prodotto finanziario, e per tale ragione devono essere soggette alle disposizioni del TUF (o Legge Draghi), il testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, noto più semplicemente come testo unico della finanza che è la principale fonte normativa vigente in Italia in materia di finanza e di intermediazione finanziaria.
Via libera dunque al sequestro per l’ipotesi dei reati di esercizio abusivo dell’attività finanziaria e autoriciclaggio, se non si rispettano le regole di trasparenza e tutela dell’investitore. Questo è quanto deciso dalla Corte di cassazione, con sentenza n. 44378 depositata ieri, sull’offerta di monete digitali.
Dunque, anche per quanto concerne le initial coin offering (ICO) le norme di riferimento sono dunque quelle disegnate dal TUF sull’intermediazione finanziaria. E chi eroga questi servizi deve innalzare gli obblighi informativi verso il consumatore per consentirgli di conoscere nel dettagli l’offerta e fare una scelta meditata.
Il caso LWF Coin
La Seconda sezione penale, accogliendo il ricorso del Pg di Brescia, ha infatti disposto un nuovo giudizio in merito al mancato sequestro preventivo di un wallet contenente 30 bitcoin relativamente ai reati, ipotizzati, di esercizio abusivo dell’attività finanziaria e autoriciclaggio.
Nel caso specifico all’imputato era stata contestata la raccolta di fondi che “… aveva avuto come scopo la creazione di una piattaforma decentralizzata di servizi logistici”, e il fatto che “… a chi aveva contribuito erano stati corrisposti in cambio LWF Coin, che costituivano titoli per l’utilizzo dei servizi della piattaforma”.
Per la Suprema corte ricorrono tutti gli elementi distintivi dell’investimento finanziario in quanto i soggetti interessati all’investimento per ottenerlo: “a) hanno erogato capitali (sotto la forma di bitcoin); b) con l’aspettativa di ottenere un rendimento, costituito dalla corresponsione di altre monete virtuali che avrebbero permesso la partecipazione alla piattaforma, dal valore variabile a seconda del momento dell’acquisto e che avrebbe acquistato maggior valore se il progetto relativo alla piattaforma avesse avuto successo; c) hanno assunto su di sè un rischio connesso al capitale investito”.
Nelle indagini la guardia di finanza aveva evidenziato che il White paper del progetto Lwf Coin era un documento fondamentale per l’avvio di una Coin Offering, finalizzato a descrivere ai potenziali investitori il progetto relativo alla creazione di nuove start-up ed iniziative da avviare nel mondo virtuale ed i suoi aspetti tecnici-finanziari-economici.
Pertanto non erano necessari ulteriori accertamenti, e i 30 Bitcoin, oggetto della richiesta di sequestro probatorio integravano l’ipotesi dei reati di esercizio abusivo di attività finanziaria e autoriciclaggio. Reati esclusi dal Tribunale del riesame che aveva rigettato la richiesta del Pm di disporre il sequestro preventivo. Una decisione che dovrà essere rivista.
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