Da anni è in corso una sorta di guerra tecnologica tra alcune delle potenze economiche mondiali, che riguarda principalmente l’esportazione di materiali fondamentali in numerosi ambiti tecnologici.
La svolta più recente riguarda la Cina, che lunedì 3 luglio ha annunciato una stretta all’export di due importanti metalli, il gallio e il germanio, usati per produrre semiconduttori, radar e altri componenti elettronici, allo scopo di “salvaguardare la sicurezza e gli interessi nazionali“.
Secondo una linea guida emessa dal Ministero del Commercio e delle Dogane cinese, il Paese applicherà dei controlli sulle esportazioni di questi due metalli rari a partire dal prossimo primo agosto.
Come si legge nella nota ufficiale, le esportazioni di gallio e germanio, di cui la Cina è uno dei maggiori produttori, richiederanno una licenza speciale, che dovrà specificare sia il destinatario finale che lo scopo del loro utilizzo.
Il gallio, utilizzato per la produzione di circuiti integrati, LED e pannelli fotovoltaici, tra le altre cose, è considerato una materia prima critica dall’UE e, secondo un report del 2020 della Commissione Europea, la Cina rappresenta l’80% della produzione mondiale del metallo.
Il germanio, a sua volta, è essenziale per la produzione di fibre ottiche e obiettivi per fotocamere a infrarossi, con l’80% proveniente dalla Cina secondo lo stesso report.
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La guerra tecnologica tra Cina, Stati Uniti ed Europa diventa sempre più spietata
La decisione di Pechino è l’ultimo sviluppo nella battaglia globale per controllare la produzione di chip essenziali per qualsiasi cosa, dagli smartphone e le auto a guida autonoma, fino ai computer avanzati e alla produzione di armi.
La motivazione cinese ha a che fare con la sicurezza e l’interesse nazionale, la stessa dietro ai controlli delle esportazioni occidentali. La mossa, inoltre, arriva pochi giorni dopo che l’Olanda ha annunciato nuove restrizioni all’export di alcune apparecchiature (tra cui, in particolare, le “stampanti“) per produrre i semiconduttori, scatenando così la risposta rabbiosa di Pechino.
Anche il Giappone e gli Stati Uniti hanno adottato misure simili per limitare l’accesso delle aziende cinesi a chip e attrezzature per la loro produzione. Nemmeno l’Italia è rimasta a guardare, visto che a giugno ha imposto diversi limiti al maggiore azionista di Pirelli, Sinochem, per bloccare l’accesso del governo cinese alla tecnologia dei chip sensibili sui pneumatici.
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