Il salvataggio della Credit Suisse, con l’azzeramento degli obbligazionisti e l’esautoramento degli azionisti di UBS, ha portato alla cancellazione di uno dei fiori all’occhiello della Svizzera, con una fusione sostenuta da 260 miliardi di franchi svizzeri (280 miliardi di dollari) di fondi statali che ha sconvolto la finanza globale.
Gli eventi che si sono verificati nella nazione senza sbocco sul mare – a lungo un bastione di neutralità politica che si è assicurato la posizione di rifugio sicuro preferito dalle élite più ricche – vanno contro una delle lezioni chiave della crisi finanziaria del 2008, secondo la quale un salvataggio di tale portata rischia di concentrare rischi ancora maggiori in un unico colosso bancario, in questo caso UBS Group AG.
Inoltre, il fatto che gli obbligazionisti attutiscano il colpo agli investitori azionari a causa dell’accordo tra UBS e Credit Suisse ha fatto innervosire gli istituti di credito, facendo salire i loro costi di finanziamento e minacciando la crescita economica mondiale.
Le conseguenze della fusione per mercati e portafogli
Il salvataggio di Credit Suisse da parte di UBS annunciato domenica è uno dei più grandi interventi di soccorso del sistema bancario della storia europea.
L’operazione è stata considerata necessaria per evitare che la crisi della banca zurighese contagiasse il resto del sistema finanziario svizzero, che rappresenta il 10% del valore aggiunto dell’economia elvetica, ed è stata coordinata dal Consiglio federale della Svizzera, dalla Banca Nazionale Svizzera e dall’autorità di vigilanza FINMA.
Ovviamente, il salvataggio comporta perdite significative anche per gli investitori, con gli azionisti di Credit Suisse che vedono il loro investimento svalutarsi di circa il 74% rispetto a inizio anno e gli obbligazionisti che hanno comprato bond subordinati – le Tier 1 Capital Note – che perdono l’intero investimento (il capitale, circa 15,8 miliardi di franchi, sarà azzerato).
Anche la banca nazionale saudita (SNB), che pochi mesi fa era diventata il primo azionista di Credit Suisse investendo 1,4 miliardi franchi per controllare il 9,9% delle azioni, ha visto il suo investimento svalutarsi a circa 300 milioni di franchi.
Nel frattempo, il dipartimento delle Finanze del Consiglio federale svizzero ha deciso attuare una procedura di emergenza – chiamata Notverordnung, in tedesco – che permette di procedere con la fusione tra le due banche senza necessità dell’autorizzazione da parte dei soci.
L’operazione riceve anche un sostanzioso sostegno dallo Stato, attraverso un fondo da 25 miliardi di franchi per sostenere i costi operativi e quelli di ristrutturazione, con la Banca nazionale svizzera che assicurerà la liquidità necessaria in caso di emergenza e le autorità svizzere che mettono sul piatto una garanzia pubblica da 9 miliardi di franchi nel caso in cui le perdite superino i 5 miliardi di franchi.
Dalla fusione nasce quindi una banca con oltre 5mila dollari di investimenti in gestione e attivi finanziari per oltre 1.500 miliardi di franchi, pari a quasi il doppio del prodotto interno lordo della Svizzera.
Alla luce degli ultimi sviluppi, il presidente di UBS – Colm Kelleher – non ha nascosto che si tratta di un’operazione piuttosto difficile e rischiosa:
“Questa acquisizione è attraente per gli azionisti di UBS, ma lasciateci essere franchi, per quello che riguarda Credit Suisse questo è un salvataggio di emergenza. Abbiamo strutturato una transizione che preserverà il valore rimasto nel business limitando la nostra esposizione ai rischi“.