Nei giorni scorsi, il colosso bancario tedesco Deutsche Bank ha lanciato un allarme su alcuni investimenti effettuati in Russia.
Si tratta di un avvertimento che era già nell’aria da un po’ di tempo, dato che lo scorso 9 giugno l’istituto aveva ufficialmente comunicato ai propri clienti di non poter garantire il pieno accesso alle azioni russe di loro proprietà.
Nel documento, visionato in esclusiva dall’agenzia di stampa britannica Reuters, la banca tedesca ha infatti dichiarato di aver recentemente scoperto una mancanza di azioni sottostanti le ricevute di deposito che Deutsche Bank aveva emesso prima dell’invasione dell’Ucraina. Azioni che erano detenute in Russia da un altro istituto depositario.
Nella nota, l’istituto tedesco attribuisce l’ammanco alla decisione di Mosca di consentire agli investitori di convertire alcune DR in azioni locali. La conversione è stata effettuata senza il “coinvolgimento o la supervisione” di Deutsche, che di conseguenza non è stata in grado di riconciliare le azioni della società con le ricevute di deposito.
Per chi non lo sapesse, le DR sono certificati emessi da una banca che rappresentano le azioni di una società estera negoziate in una borsa locale. Scambiare le DR con azioni di una società russa è un primo passo verso il recupero del denaro.
Nello specifico, le azioni interessate sono quelle della compagnia aerea nazionale Aeroflot, dell’impresa di costruzioni LSR Group, della società mineraria e siderurgica Mechel e della Novolipetsk Steel.
La reazione dei mercati alla notizia non si è fatta attendere, visto che a due ore dall’apertura degli scambi di oggi – lunedì 26 giugno – il titolo di Deutsche era in calo dell’1,5% intorno ai 9,04 euro, dopo essere sceso sotto i 9 euro (a 8,92 euro) nella prima ora di scambi.
Il comunicato di Deutsche è il primo di questo genere, ma è significativo delle difficoltà che gli investitori globali dovranno affrontare per recuperare gli investimenti effettuati in Russia.
Le sanzioni occidentali e le contromisure russe hanno bloccato gli asset di privati e aziende di entrambi gli schieramenti politici, con Mosca che ha chiesto un contributo del 10% al bilancio federale, definito da Washington “tassa di uscita“.
Il Cremlino ha anche preso il controllo temporaneo di alcuni asset sequestrando le filiali russe di due aziende energetiche europee in aprile, una strategia volta a ridurre l’influenza straniera sulle aziende critiche nei confronti dei suoi interessi economici e politici.
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